IL MODELLO HONG KONG PER I RIFUGIATI con Paul Romer

Il problema dei rifugiati colpisce anche gli studiosi lontani da noi, Paul Romer professore alla New York University dove è direttore del Marron Institute of Urban Management interviene sostenendo la necessità di investire politicamente ed economicamente nei paesi lacerati dalla guerra.

“La crisi dei rifugiati presenta livelli di complessità e gravità tali da richiede decisioni pragmatiche – continua – l’Europa e altri Stati non possono accogliere in futuro milioni di rifugiati. E’ per questo che dobbiamo creare nelle zone di crisi delle aree, con dieci milioni di persone, dove incominciare il percorso verso la democrazia e la pace a medio e lungo termine. Il modello a cui fare riferimento è Hong Kong, area che ha potuto consolidare un proprio modello politico ed economico prima di passare alla Cina”.

Forte del suo lavoro di studio sui fenomeni di urbanizzazione, Romer ha ribadito che “il miglioramento delle politiche urbane, soprattuto nelle aree di crisi offre le migliori possibilità per accelerare la crescita nel mondo in via di sviluppo. Il modello Usa ha fallito, abbiamo pensato di controllare interi Stati, vedi Iraq ed Afganistan, con costi enormi quando invece, con minore impegno finanziario, potevamo creare delle aree urbane controllate dove la popolazione potesse realizzare un proprio modello democratico, iniziando con i servizi fondamentali. Sicurezza e pacificazione sono elementi essenziali per ricostruire una nazione”.
“La crisi dei rifugiati è il fallimento del mondo degli Stati. La crisi coinvolge oggi milioni di persone e non conosciamo, purtroppo, quali saraanno gli sviluppi futuri. L’Europa e altre nazioni non possono pensare di risolvere la crisi ospitando milioni di persone. Servono decisioni pragmatiche con un valenza idealistica”.

Oggi l’Europa è vicina ad un approccio di società aperta, non così gli Stati Uniti che hanno fallito dopo l’invasione di Iraq e Afganistan. La stessa Europa, a fronte dell’emergenza, è tentata però di rispondere, erigendo barriere, generando i drammi di coloro che ogni giorno muoiono in mare”. Da qui la proposta pragmatica del professore americano, Romer propone di creare delle aree, fortemente urbanizzate ma caratterizzate anche da un tessuto agricolo, dove insediare fino a 10 milioni di persone: “Riducendo la zona da controllare e proteggere, si possono creare le condizioni per far crescere forme di società con una forte spinta alla autodeterminazione democratica”.

A titolo esemplificativo, Romer ha citato Hong Kong: “Un’area dove a qualche milione di persone è stato concesso di vivere con una prospettiva di almeno 50 anni, offrendo il diritto di residenzialità e dove è stato possibile lo sviluppo dei servizi essenziali, accompagnati dalla sicurezza delle persone e dalla nascita di un modello democratico”. Se gli Stati Uniti – questo è la convinzione di Romer – avessero preferito questo modello, avrebbero investito meno in spese militari e avrebbero permesso ad Iraq e Afganistan di ritrovarsi sul proprio territorio delle aree pacificate.

Romer auspica la nascita di “tante Hong Kong” nei Paesi del Medio Oriente e Nord Africa, oggi devastati dalla guerra civile. Lo stesso Romer affida all’Europa, non gli Stati Uniti, la guida di queste aree dove incubare pace e democrazia: “Questo modello ha consentito ad Hong Kong di sopravvivere e di costruire un proprio modello economico, finanziario e politico di cui, alla fine, ha beneficiato la stessa Cina dopo l’annessione. Ai contribuenti inglesi, l’ex colonia Hong Kong non è costata nulla, anzi ha generato ricchezza. Ciò non si può dire dei contribuenti americani”.

Con la chiarezza dello studioso, Romer individua l’estensione e la localizzazione del primo incubatore nei Paesi medio orientali e nordafricani: “Ci vogliono circa mille chilometri quadrati. Un’alleanza tra le potenze europee dovrebbe consentire di individuare l’area lungo la costa libica mentre accordi politici con le autorità locali servirebbe a garantire la giurisdizione. Quindi l’area non farebbe parte di alcuno Stato europeo, quindi niente diritto di asilo per le persone che si insediano, alle quali andrebbe riconosciuto il diritto di domicilio e quindi il riconoscimento del diritto di viverci con le proprie famiglie in sicurezza”.

Tale modello sarebbe in grado da subito di rispondere in maniera soddisfacente ad alcuni dei desiderata dei rifugiati, che andrebbero coinvolti nella elezione dei propri politici e nel processo di nascita della democrazia. I primi settori economici da insediare nelle aree riappacificate potrebbero essere – spiega Romer – la raccolta dei rifiuti o il settore manifatturiero, legato al tessile, poi arriveranno gli altri settori che richiedono professionalità maggiori”.

5 Giugno 2016


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