INVENTARE GLI SPAZI PUBBLICI, CON MARIO BOTTA E VITTORIO GREGOTTI

La creatività nello spazio pubblico, due grandi maestri come Mario Botta e Vittorio Gregotti raccontano i loro spazi del futuro.
Un architetto ha il compito di trasformare una dimensione sociale in una spaziale, bisogna leggere gli spazi per capirne le sue contraddizioni, con il suo lavoro l’architetto può concorrere a tracciare una vita migliore per chi ne utilizza gli spazi.
Dai discorsi di Gregotti ne esce una visione abbastanza pessimistica, fonte forse dei suoi 75 anni ma per lui sembra non esservi più crescita per l’architettura, un possibile sviluppo positivo per l’architettura diventa molto difficile, e non è un problema solo dell’architettura ma di tutte le arti.
In questo senso l’architettura interessa in quanto industria e come simbolo di economia di sviluppo. C’è una prevalenza della legge del profitto sull’estetica, bisogna interrogarsi come poter rendere le città fruibili a tutti anche se la legge non lo consente. I progetti annullano le differenze e il senso estetico ne paga le conseguenze.
Una visione meno brutale per Mario Botta che vede una possibilità per l’architettura. Secondo lui la globalizzazione ha coinvolto tutti gli aspetti della vita e delle relazioni umane ma alla fine cosa resta al povero uomo, resta il suo mestiere all’interno del quale è possibile trovare ancora delle risorse.
E in questo senso cosa sono i luoghi della crescita? Per l’architetto sono gli spazi, prenderne possesso è il primo passo, una situazione di equilibrio per generare tranquillità, essere significa occupare lo spazio e con lui provocare delle risonanze, questo è un pensiero di Le corbusier che non si definiva architetto ma un professionista del pensiero, un pensatore.
Le Corbusier era un architetto e urbanista svizzero naturalizzato francese, uno dei padri dell’urbanistica contemporanea, pioniere del cemento armato.
Ragionando da architetto invece Botta spiega che l’uomo prendendo possesso dello spazio ne modifica le condizioni trasformando una condizione di natura in una di cultura. Per riprogettare lo spazio pubblico bisogna trasferirgli uno spazio culturale, lo spazio diventa così di valore pubblico. Lo spazio urbano è una necessità perché trasferisce la sua cultura attraverso le nostre tradizioni, tradizioni che hanno contribuito alla sua realizzazione. La città è la costruzione che dà forma alla storia, ancora più dei suoi singoli monumenti. E’ un bene che condividiamo con le altre generazioni. Le popolazioni degli agglomerati sono il 50% dell’intera umanità, un’urbanizzazione spesso forzosa che però ciò rispecchia. Dobbiamo misurarci – conclude Botta – con questa dimensione riprogettando i manufatti in modo che non ci opprimano fisicamente e mentalmente.

3 Giugno 2016


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