IMPRESA SICURA, IL BANDO DELLE BEFFE DI INVITALIA

Foto: Italpress ©

ROMA (ITALPRESS) – Un secondo e 46749 microsecondi. Tanto è servito a Invitalia per assegnare tutti i 50 milioni di euro destinati alle imprese dal bando Impresa SIcura, che nasce per aiutare le aziende che hanno acquistato i dispositivi di sicurezza per i lavoratori dal 17 marzo in poi. A gestire l’operazione c’era Domenico Arcuri, che è a capo di Invitalia ma anche il super-commissario del governo per l’emergenza Covid.
Della gestione della crisi si stanno occupando quasi tutte le procure d’Italia, tra truffe e inefficienze, arresti e avvisi di garanzia. Diverso invece il piglio di Arcuri per il bando Impresa SIcura, svolto nel massimo della trasparenza. Chi prima arrivava prendeva i fondi, e questo si sapeva.
Sono quindi arrivate 208.826 domande valide, per un importo richiesto complessivo pari a 1.207.561.075 euro. E tutti hanno cercato di fare in fretta, ma che ci volesse meno di un secondo e mezzo era impensabile. E invece è andata così: alle 09:00:01.046749 dell’11 maggio i soldi erano già stati assegnati alle prime 3.150 imprese. Efficienza da hedge fund finanziario, dove è tale la velocità degli spostamenti dei capitali, che basta schiacciare un pulsante sbagliato e quotazioni di materie prime e aziende possono crollare. Si chiama sindrome del dito grasso. Immaginiamo il rammarico degli addetti commerciali di piccole aziende che chiedevano poche centinaia di euro, e che per inviare la domanda ci hanno messo un minuto.
E’ il caso del Consorzio Il Sole Scrl Cinisello Balsamo, nel milanese, un poliambulatorio dove quindi questi dispositivi sono doppiamente indispensabili, che ha inviato la sua richiesta di rimborso da 5.000 euro alle 09:01:00.002124 finendo alla posizione 41.292.
Tanta celerità cozza con gli abituali ritmi di Invitalia. Nel 2020 sono infatti stati appena 4 i bandi chiusi, 34 invece le aggiudicazioni ultimate stando ai dati presenti sul sito. Tutto questo a fronte di 1.232 dipendenti, di cui tre quarti a tempo determinato, 51 dirigenti e 210 quadri, ma si tratta di dati del 2016, di più recenti non se ne trovano. Tutto questo avviene, come spiega la stessa Invitalia, nonostante ci sia un obbligo di massima trasparenza dovuto all’emissione di un prestito obbligazionario di 350 milioni quotato su mercato regolamentato.
Non resta che appellarsi a quanto appare sul sito, a conclusione della pagina sulla trasparenza: “La sezione è in continuo aggiornamento”.
Alle 205.676 imprese escluse, oltre alla beffa per il millisecondo di troppo, restano sul groppone 1.157.561.075 di euro, spesi per trovare molto faticosamente dispositivi introvabili. “Davvero qualcuno si stupisce? Era ovvio che non sarebbero stati che una goccia nell’oceano. Niente ha funzionato in questa vicenda, a partire dal decreto fino allo stesso bando di Arcuri”, commenta Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi. “Una lotteria, una guerra tra imprenditori, un click day presto diventato click minute: se sei veloce, ti rimborsiamo, altrimenti arrangiatevi. E’ così che in Italia si incentiva la sicurezza e si aiutano le aziende?”, aggiunge il presidente di Conflavoro Pmi, sottolineando come “secondo noi è irrispettoso, ancor più che assurdo. E nel decreto Rilancio vediamo la stessa latitanza di intenti”.
(ITALPRESS).

22 Maggio 2020


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