Dal 1991 al 2010 il numero di stranieri residenti in Spagna è aumentato quasi di 20 volte, passando da 350.000 a 6,3 milioni ma nonostante questi numeri e la crisi che si abbattuta pesantemente sullo stato iberico, non esistono partiti xenofobi e l’immigrazione non è il problema principale. Il perché di questa differente tendenza rispetto al resto dell’Unione Europea lo ha spiegato Juan Dolado professore presso il Dipartimento di Economia dell’Istituto Universitario Europeo dal 2014 di Firenze e della Universidad Carlos III di Madrid.
“Le ragioni sono da ricercarsi soprattutto in un passato politico e in un presente economico – esordisce Dolado – è un dato di fatto che dopo la caduta della dittatura di Franco, non si è mai avuto una svolta decisiva, politicamente parlando, verso l’estremismo di destra, così come invece è capitato in altri paesi come ad esempio in Polonia, in Austria, Svizzera, Danimarca, Svezia. Nel passato della democrazia spagnola solo in un caso un partito di estrema destra “Fuerza Nueva”, nostalgico del Franchismo, ha guadagnato un seggio in Parlamento. E ancora, all’interno dei Paesi dell’OXE la Spagna figura come seconda scelta, dopo gli Stati Uniti, per i migranti (2010)”.
Certo, in Spagna si passati da 1 milione di stranieri nel 1998 ai 5, 5 milioni di arrivi nel 2013. Cifre che si avvicinano alla situazione della Germania, che però è un Paese più ricco e che può offrire migliori opportunità.
Eccezionale è anche il fatto che, dopo l’attacco terroristico del 2004 a Madrid, in realtà non è cambiato l’atteggiamento degli spagnoli nei confronti degli immigrati, al contrario di Italia, Francia, Ungheria, dove la risposta è stata decisamente più negativa. Ciò è valido ancora oggi nel 2016, dove viene mantenuto un clima di accoglienza positiva. È evidente che qui gli immigrati hanno un contributo reale e concreto all’economia del Paese, sono meglio integrati e come tale viene percepito dalla cittadinanza.
In Spagna il mercato del lavoro è di natura duale, vuol dire cioè che è composto da una parte di posti protetti, dall’altra vige un mercato precario e incerto, le cui conseguenze si riflettono anche sulla crescita demografica del Paese e il calo della natalità. Il flusso di migranti si è naturalmente inserito in quello spazio secondario, uno spiraglio di opportunità a fronte della ricerca di una manodopera non qualificata.
Nonostante tutto non si è mai avuta, in Spagna, la percezione che l’immigrato, lo straniero, potesse “portare via” posti di lavoro. Forse perché la maggior parte del flusso migratorio è avvenuto in periodi di boom economico, indirettamente a vantaggio di interi settori economici, su tutti quello dell’edilizia, in quanto gli stranieri necessitavano di nuovi alloggi.
Qualunque siano le ragioni, è evidente che quello spagnolo, e similitudini ci sono anche in Portogallo, rappresenta un’eccezione a livello europeo.