«Non ho visto più nulla, c’era come una nebbia. L’ho colpita due volte, poi mi sono seduto accanto a lei. L’ho coperta, perché mi dispiaceva, e poi le ho messo due sacchi sulla testa perché la sentivo rantolare. Le ho messo anche un fil di ferro attorno al collo, ma non potevo stringere. Non volevo che soffrisse. Poi ho preso il suo cellulare, la mano era rimasta scoperta e con il suo dito l’ho sbloccato e ho mandato un messaggio alla titolare del bar dove lavorava, per dirle che sarebbe stata via qualche giorno. Ho preso i vestiti, le scarpe e me ne sono andato». È durata cinque ore la deposizione, in aula, di Avni Mecja, il carpentiere di 28 anni accusato di omicidio pluriaggravato per la morte della compagna, Alexandra Elena Mocanu, 35 anni, uccisa a martellate la sera del 22 ottobre 2022. All’udienza di stamattina, alla Corte d’assise di Bolzano, Mecja ha ripercorso le tappe del suo rapporto con Mocanu. Da quando si sono conosciuti, nell’agosto 2020, alle prime uscite insieme, le prime liti, la denuncia di lei, «poi ritirata ma andata avanti d’ufficio» per maltrattamenti, gli arresti domiciliari e poi, a dicembre 2020, l’obbligo di dimora, poi diventato divieto di avvicinamento a Mocanu, che però sceglie di trasferirsi con lui. «Ha voluto accompagnarmi a Bolzano in macchina, e non se n’è più andata». Ad aprile 2022 lei inizia a lavorare, e con l’indipendenza economica «diventa un’altra persona». A settembre, Mecja scopre che lei ha una relazione con un’altra persona e inizia a pedinarla. Nasconde un cellulare nella macchina di lei, per ascoltare le sue conversazioni al telefono, e un giorno di ottobre si nasconde nel bagagliaio per seguire i suoi movimenti. Fino ad arrivare al delitto e alla fuga-lampo in Albania, da dove torna poche ore dopo per costituirsi.
FEMMINICIDIO DI VIALE TRIESTE A BOLZANO, LA DEPOSIZIONE DI MECJA
L'imputato: "Era morta, con la sua mano ho sbloccato il suo telefono"

23 Febbraio 2024
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