IL CONSUMO CRITICO, LA CITTADINANZA ATTIVA E NUOVE FORME DI FARE ECONOMIA

Il consumo critico – l’acquisto che premia chi vende o/e produce nel rispetto dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, della legalità – rappresenta oltre alla scelta dell’individuo di “consumare in maniera giusta”, anche un modo semplice e poco costoso con cui i cittadini possono dimostrare quotidianamente la loro forma di cittadinanza attiva e di presa di coscienza. Una nuova responsabilità nei confronti della società e, in un certo senso, di cambiamento sociale e di crescita economica.
Francesca Forno (professoressa di sociologia presso l’Università di Bergamo) lo spiega nel suo libro “Il consumo critico” scritto a quattro mani con Paolo Graziano (sociologia politica, Università di Padova).

“Se mediato da attori collettivi radicati nella società, il consumo critico, può certamente innescare una modalità nuova e differente di fare “economia” ed anche un modo diverso di fare “politica” attiva. In un certo senso la presenza di intermediari etici e politici, e di movimenti sociali dedicati, è centrale perché la politica del quotidiano, il consumo, quindi, diventa una forma di azione, non è più visto solo come un fine ma come un mezzo, ed in questo senso può dar luogo a processi di mutamento economico e politico.

Si tratta infatti di una politica che avvicina la dimensione culturale a quella economica. I cittadini con la dovuta informazione sono in grado di compiere scelte, e gli stessi gruppi, associazioni, e organizzazioni li stanno sensibilizzando sul significato politico dei propri consumi. “Un po’ come chiedere loro di far uso del “potere della busta della spesa” per favorire e sostenere pratiche produttive o commerciali virtuose attente all’ambiente, ai diritti dei lavoratori, alla legalità” – spiega l’autrice Francesca Forno.

È evidente che negli ultimi anni sono aumentate le esperienze di consumo critico organizzato e di commercio equo e solidale, così come varie forme di risparmio e di finanza etica. In che modo possono contribuire alla crescita economica e all’integrazione sociale, nell’attuale fase di crisi?

La diffusione del commercio equo solidale, dei Gruppi d’Acquisto Solidali, delle Banche del Tempo, del turismo responsabile, la “politicizzazione” di organizzazioni come Slow Food, sono esperienze nate a cavallo del vecchio e nuovo secolo che si stanno rafforzando e rappresentano esempi di come si possano creare “circuiti economici nuovi” mettendo in contatto chi produce e chi acquista, tessendo reti di “economia solidale” che tra l’altro si stanno dimostrando importanti anche nel riattivare la partecipazione e l’interesse dei cittadini per il bene comune.

Il consumo critico – l’acquisto che premia chi vende o/e produce nel rispetto dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, della legalità – rappresenta così un modo semplice e poco costoso (e questo sia in termini di tempo e di denaro) attraverso il quale i cittadini possono dimostrare quotidianamente la loro forma di cittadinanza attiva e di presa di coscienza, di nuova responsabilità nei confronti della società.
Paolo Graziano, che insegna scienza politica all’Università di Padova, spiega quali sono le ragioni che negli ultimi quindici anni ha portato all’espansione di questo fenomeno. Certamente il consumo critico non può rappresentare l’unica e ultima soluzione, ma è un dato di fatto che, partendo dal consumo, questi movimenti stiano oggi riconnettendo l’individuo alla collettività, ponendo un freno alla crescente apatia politica e riattivando la partecipazione anche e soprattutto dei giovani.
Il consumo critico, l’acquisto consapevole, si sta dimostrando capace prima di tutto di sensibilizzare e promuovere nei cittadini una nuova “assunzione di responsabilità”, anzi di “co-responsabilità”. Una rivoluzione degli stili di vita, che può trasformare i processi decisionali promuovendo la capacità di creare nuovi legami.

Fair trade, ecovillaggi, transition towns, banche del tempo, slow fashion: sono le parole che sentiamo circolare e che appartengono al vocabolario del consumo critico, in cui contano non solo il prezzo e la qualità dei prodotti ma anche il comportamento dei produttori e la sostenibilità ambientale e sociale della filiera produttiva. Emerge che i cittadini non vogliono partecipare alla politica e alla gestione del proprio territorio, ma semmai che i canali convenzionali della partecipazione (i partiti, i sindacati e anche alcuni settori dell’associazionismo) non riescono più a farsi portatori degli interessi della società.

La voglia di legalità e giustizia sociale che questi movimenti esprimono è tanta e coinvolge un numero crescente di persone. Un fenomeno che non viene e non può essere sottovalutato dalle amministrazioni locali.Ora siamo in una fase dove il consumo critico sta ritornando ad una dimensione sovranazionale e di istituzionalizzazione – spiega – Flaviano Zandonai – ricercatore presso Euricse – sia da un punto di vista di articolazione interna, sia di definizione di linee guida. La spinta oggi è verso un consumo critico non più solo di nicchia, ma che va incontro alla grande distribuzione.

5 Giugno 2016


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