ACCELERATORI E INCUBATORI D’IMPRESA

Acceleratori e incubatori, un nuovo modo di insegnare a fare impresa, di sostenere lo sviluppo e condividere competenze. Fra i luoghi della crescita non si potevano non includere queste strutture che ormai sono diventate parte integrante della new economy, ambienti che creano circuiti virtuosi che si autogenerano portando innovazione e risorse a quanti entrano a far parte di quei contesti. Sono anche nuovi motori di mobilità sociale in quanto coinvolgono le persone in agglomerazioni che genereranno un indotto produttivo di eccellenza creando nuovi posti di lavoro, nuove prospettive, e una proiezione del futuro positiva.

Vincenzo Cippolletta, Mauro Casotto e Giampio Bracchi hanno presentato il ventaglio delle opportunità disponibili oggi in Italia, dagli acceleratori privati, come Digital Magic di Marco Gay, agli incubatori pubblici come quelli di Trentino Sviluppo, agli incubatori universitari quali Polihub di Milano, fino al variegato mondo dei finanziatori privati come L Venture Capital, al Festival dell’Economia di Trento.
Fenomeni di nicchia? Tutt’altro, come dimostrano i numeri d’eccezione del Trentino: le 110 aziende insediate nei sei incubatori danno lavoro a 750 persone, generano un fatturato di 380 milioni di euro; messe tutte assieme sarebbero la terza industria del territorio per fatturato, la quinta per numero di occupati.

“Altro che quattro ragazzi in un garage – ha detto Marco Gay, presidente di Giovani Imprenditori di Confindustria e vicepresidente Digital Magics – in Italia abbiamo 5.300 startup innovative con 23 mila addetti”.
Un patrimonio che merita di essere valorizzato quale volano della crescita economica e dell’innovazione. “In Italia ci sono 4 mila miliardi di euro di risparmio privato, riuscissimo a trasferire anche l’1% di queste somme in innovazione ed economia reale, unendo i diversi puntini sparsi sul territorio e scatenando un po’ di questa finanza, potremmo veramente diventare la culla dell’innovazione in Europa”, ha sottolineato Gay.

“Proteggiamo il made in Italy ma non il research in Italy – ha rilanciato Giampio Bracchi, presidente di Polihub e della Fondazione Politecnico di Milano – e questo frena il potenziale della ricerca che si fa a livello diffuso nelle università italiane. Ma le università devono capire che gli uffici brevetti e gli incubatori vanno gestiti con criteri di mercato, spogliandosi del desiderio di ciascun ateneo di possedere tali strutture e liberandole dal fiato sul collo delle gerarchie accademiche”.

Fatta la diagnosi, sulla terapia si è registrata una sostanziale convergenza di vedute tra Innocenzo Cipolletta, presidente del Fondo Italiano d’Investimento SGR e presidente dell’Università degli Studi di Trento ed Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI (l’Associazione italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e docente all’Università Cattaneo. “E’ ora che l’Italia trovi un suo modello di sostegno alle startup, che metta a fattor comune le esperienze e le eccellenze già espresse del territorio, riuscendo così a portare a terra, trasformandolo in business, in iniziative economiche, in economia reale, il grande potenziale di innovazione insito nelle università e nei centri di ricerca del nostro Paese”.

5 Giugno 2016


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