Oggi la globalizzazione sta cambiando volto, dopo la crisi mondiale non c’è più un “turbo commerciale” come quello che ha identificato la sua prima stagione. Questo succede perché è in corso una sorta di polarizzazione del commercio mondiale, con scambi dentro le aree dei 3 grandi poli del commercio mondiale: America del Nord, Unione Europea e Balcani e Asia Orientale e Oceania. In questa polarizzazione degli scambi mondiali l’Asia ha superato l’Europa, le catene del valore superano i confini nazionali e sono globali.Le imprese hanno capito che delocalizzando perdono conoscenze ed esperienze.
Con la crisi si è riscoperta l’importanza del manifatturiero come motore dello sviluppo economico. La distanza geografica torna a contare, per avere efficacia nelle produzioni bisogna essere anche vicini logisticamente, la dimensione condiziona il commercio internazionale.
Con Luca Paolazzi, direttore Centro Studi Confindustria, e Michael Hüther, direttore dell’Institut der deutsche Wirtschaft Köln, si è cercato di capire come cambia la globalizzazione, un fenomeno non così nuovo come si pensa. La prima grande globalizzazione infatti, più intensa di quella attuale, si ebbe a fine ‘800, primi ‘900. Poi scoppiò la Prima Guerra Mondiale che sospese la globalizzazione in atto. Oggi la globalizzazione sta cambiando volto, dopo la crisi mondiale non si riscontra lo stesso turbo commerciale che ha identificato la prima parte del fenomeno. Questo succede perché c’è in corso una sorta di polarizzazione del commercio, con scambi all’interno dei tre grandi poli del commercio mondiale: America del Nord, Unione Europea e Balcani e Asia Orientale e Oceania.
In questa polarizzazione degli scambi mondiali l’Asia ha superato l’Europa, le catene del valore superano i confini nazionali e sono globali. L’interscambio è costituito in larga parte da semilavorati. Si sono attenuati gli effetti di shock storici e tecnologici come la caduta del muro, l’ingresso della Cina nel WTO e la rivoluzione ICT e si presenta una perdita di slancio dell’industrializzazione degli emergenti. Le imprese hanno capito che delocalizzando perdono conoscenze ed esperienze. E questa è la vera lezione che le imprese hanno avuto dalla globalizzazione. Con la crisi inoltre, si è riscoperta l’importanza del manifatturiero come motore dello sviluppo economico. La distanza geografica torna a contare: per avere efficacia nelle produzioni bisogna essere anche vicini logisticamente, la dimensione torna a condizionare il commercio internazionale.
Concetto, quest’ultimo, ribadito anche da Lucia Tajoli docente all’Università Bocconi di Milano che parla di un mondo fortemente polarizzato, con mercati internazionali basati su una struttura centrale alla quale sono legati Paesi più periferici. Poli sempre più distinti, con un sistema di produzione regionale sostenuto da assi che lo legano ai centri di produzione mondiale, legami fortissimi tra loro, ed importantissimi, come quello che lega Stati Uniti e Cina, legame che tiene in piedi letteralmente l’intera rete di scambi mondiali.