Il “fashion” italiano rappresenta ancora la punta luccicante di una filiera industriale in cui, secondo uno studio di Cdp, operano 53.000 aziende con 400.000 occupati.
Nel 2024, però, i dati hanno raccontato di una frenata. Il fatturato totale si è fermato a 97,7 miliardi di euro, in calo del 3,5% rispetto ai 101,3 miliardi dell’anno precedente.
Numeri che fanno male a un Paese che, proprio sulla moda, costruisce l’8-9% del Pil manifatturiero e un export annuo intorno agli 80 miliardi. Gli italiani, però, messi uno accanto all’altro, fanno meno di metà di Lvmh. La differenza non è solo di bilanci: è di potenza di fuoco. Con quei numeri, il gruppo di Bernard Arnault può comprare un marchio italiano come fosse un accessorio da boutique. E infatti, la lista dei gioielli già persi è lunga. Ecco perché Armani era diverso. Non ha mai ceduto. Ha costruito un meccanismo testamentario blindato: un trust familiare che impedisce la vendita della maison. Una diga contro i francesi, i qatarioti e i fondi cinesi. Un’ossessione, più che una clausola: la garanzia che la sua creatura resti italiana. Con lui scompare non solo lo stilista, ma il custode dell’italianità nel lusso.
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