L’ECONOMIA REGIONALE TRA LE DUE GUERRE

I lunghi anni del primo conflitto mondiale, che videro vaste aree del Trentino ed anche qualche area marginale del Sudtirolo teatro delle ostilità belliche, lasciarono un pesante segno sull’economia locale, riscontrabile non solo nelle distruzioni e nei danneggiamenti materiali, ma anche nel crollo di ogni attività produttiva. Finita la guerra, la politica economica adottata dal governo del Regno d’Italia, pur finanziariamente rilevante, risultò prevalentemente orientata più alla riattivazione delle infrastrutture pubbliche e private indispensabili ad una civile convivenza, che non a creare le condizioni per un celere ripristino delle strutture produttive.

Il programma di spesa pubblica realizzato nel quadriennio 1919-1923, oltre a restituire alla regione il suo assetto prebellico per ciò che concerneva gli insediamenti umani, ha comunque rappresentato una grande occasione di occupazione per la popolazione locale, non ancora pienamente inserita nelle tradizionali attività agricole, drasticamente ridimensionate in ogni vallata.
Gli operatori agricoli apparivano per altro disorientati, in quanto non trovò spazio alcun intervento coordinato tra le vecchie istituzioni maturate nel contesto dell’autonomia tirolese e i nuovi organi del centralismo statale italiano. Sarebbe infatti risultato necessario riqualificare la produzione agricola, al pari di quella manifatturiera, indirizzandola verso mercati stabili e adeguati, e parallelamente si sarebbe dovuta proporre una ripresa in grande stile dell’attività turistica. Per fare tutto ciò sarebbe stato indispensabile rilanciare una forte sinergia tra pubblico e privato, tra «capitale tangibile» e «intangibile».

Tali obiettivi tuttavia non erano facilmente perseguibili, in quanto le potenzialità imprenditoriali e finanziarie riscontrabili in regione per dare vita ad un processo di adeguamento dell’economia locale a quella delle aree più avanzate, apparivano disorientate e decisamente sottodimensionate.
La crisi finanziaria oltretutto, prodotta dalla pressoché totale débâcle dei titoli pubblici dell’ex Monarchia asburgica, su cui erano confluite quote massicce del risparmio prodotto tanto nel Trentino quanto in area sudtirolese, investì, in modo spesso violento, sia i singoli soggetti economici, sia, in termini particolarmente evidenti, gli istituti di credito locali, riducendo la loro capacità di farsi autentici promotori della ripresa economica. Le carenze, tanto di natura finanziaria che di tipo organizzativo, e più ancora l’incapacità di individuare strategie che avrebbero potuto consentire un vero e proprio rilancio dell’economia locale nei nuovi scenari istituzionali e di mercato emersero in termini particolarmente marcati di fronte al manifestarsi della «grande depressione», avviatasi nel 1929 e manifestatasi con qualche anno di ritardo in ambito italiano e locale.

Le imprese di tutta la regione che avevano saputo rimettersi in gioco non riuscivano più a collocare competitivamente le loro produzioni sul mercato. Le perturbazioni intervenute lungo i canali tradizionali di sbocco finirono per rallentare la produzione, sminuendo il già ridotto apporto del settore industriale alla formazione del reddito locale. L’unico settore industriale in grado di reggere i contraccolpi della crisi fu quello rimessosi in moto già all’indomani della cessazione delle ostilità belliche: il settore idroelettrico.

La disponibilità di energia elettrica offrì anche il destro al regime fascista per creare nel 1934 la «zona industriale» di Bolzano, offrendo lavoro a popolazione proveniente soprattutto dal Veneto, nel tentativo di far diventare i sudtirolesi una minoranza in casa loro. Non ebbe invece alcun riscontro la richiesta di dirottare una parte dei provvedimenti previsti per Bolzano su Trento.
La «grande depressione» provocò anche un ulteriore aggravamento della situazione dell’agricoltura, che già sovraccarica di forza-lavoro sottoccupata, non poteva sopportare una sorta di “ritorno alla terra” di chi era stato espulso dalle fabbriche. Fu però il settore bancario quello che manifestò i segni più evidenti di cedimento. Di fronte al ridursi del giro d’affari, alle difficoltà di pagamento ed al crollo delle commesse numerose aziende si erano trovate in seria difficoltà. Le banche di conseguenza videro aumentare nell’arco di pochissimo tempo le proprie posizioni di “sofferenza”, al punto da subire un autentico tracollo.

La crisi provocò effetti dirompenti anche per l’impianto mutualistico-solidale e per la rete capillare che questo s’era dato in regione. In Alto Adige, dove, sul finire degli anni Trenta, ai problemi di natura economico-finanziaria si sovrapposero quelli provocati dal dramma delle opzioni, scomparve lungo gli anni Trenta il 60% delle Raiffeisenkassen. Anche nel Trentino la debâcle delle Casse rurali fu decisamente pesante. La cooperazione tuttavia, passati gli anni più pesanti della crisi, riprese, seppure tra non poche difficoltà, un ruolo dinamico, al pari di diverse altre realtà imprenditoriali locali.

Andrea Leonardiè professore ordinario di Storia economica presso l’Università degli Studi di Trento. La sua ricerca ha analizzato le traiettorie dello sviluppo nella montagna alpina, nonché il processo di modernizzazione all’interno della Monarchia asburgica, così come la storia finanziaria dell’Italia nel Ventesimo secolo. Negli anni più recenti ha affiancato alle tematiche di ricerca storico-economica contemporanea quelle proprie della business history.
Grazie alle sue vaste ricerche ha prodotto oltre duecento pubblicazioni.
Tra i suoi lavori che toccano i temi affrontati si segnalano:

2 Novembre 2016


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