LE INCOGNITE DEL FUTURO con Michael Spence

E’ toccato al premio Nobel 2001 Michael Spence, non nuovo alle platee trentine, chiudere questa undicesima edizione del Festival dell’Economia di Trento. Dialogando con Tito Boeri, qui in veste di responsabile scientifico del Festival, Spence è stato chiamato a rispondere ad un quesito difficile: sarà davvero stagnazione secolare? Alcuni pensano che siamo di fronte ad una riduzione della crescita dell’economia mondiale destinata a durare a lungo, per effetto di cause concomitanti: crescita demografica, difficoltà dei paesi emergenti, evoluzione tecnologica e quant’altro.

“La situazione globale sembra stabile ma in effetti è insostenibile”, ha detto Spence, sottolineando però che ci sono differenze fra paese e paese. La transizione non sarà facile per nessuno e fattori come l’urbanizzazione “spinta” e l’avvento delle tecnologie robotizzate, complicheranno le cose, cancellando molti posti di lavoro nel manifatturiero. L’Europa avrà tante più chance quanto più saprà armonizzare i propri sistemi finanziari e fiscali.

Per quanto riguarda la mobilità, secondo Spence l’Italia deve frenare la fuga dei propri cervelli, ma deve anche andare orgogliosa delle politiche di accoglienza poste in atto nei confronti dei migranti, e delle tante vite salvate finora. In quanto alla Brexit, essa potrebbe avere risvolti positivi, se spingerà l’Europa a ripensare la sua governance. L”ulteriore crescita dei centri urbani è un’altra delle frontiere dello sviluppo: da un lato opportunità (logistica, trasporti, edilizia) dall’altra problemi sempre più grandi, specie nei paesi in via di sviluppo, dove è più forte l’espulsione dei contadini dalle campagne.
Infine, l’economia di condivisione, in parte generata dall’evoluzione tecnologica. Ci sono beni che vengono sottoutilizzati, ad esempio le auto o gli appartamenti, e che potrebbero essere “rimessi in circolo”, in maniera parziale (per limitati lassi di tempo) dai loro proprietari. Da qui a fenomeni come Airbnb, “molto potenti”, che producono un effetto-rete a livello mondiale. Nuove piattaforme digitali daranno vita a nuovi mercati, nuovi servizi, nuove risposte ai bisogni delle persone.

“Dal 2008 – ha detto il premio Nobel – quando la crisi è scoppiata, l’economia mondiale è diminuita di 60 trilioni di dollari. Non significa che ogni paese o ogni regione ne soffra nello stesso modo, ma globalmente tutto questo non può funzionare sul lungo periodo. Sul piano finanziario, in generale, ci affidiamo troppo alle banche centrali. C’è inoltre chi sostiene che il tasso di risparmio è troppo elevato, e questo perché i tassi di interessi sono troppo bassi. Detto questo, ci sono differenze di performance fra paese e paese. L’America cresce del 2% in termini reali, dunque al di sotto delle sue possibilità. L’Europa cresce ancora meno. La Cina sta rallentando. Il Brasile viaggia su una china pericolosa. Riavviare la crescita è difficile in questa situazione. Viviamo in un mondo in cui le politiche monetarie hanno fatto crollare i tassi di interesse. I cambi sono volatili. Il capitale viaggia alla ricerca dei migliori impieghi. Non c’è una guida o un copione”.

E la tecnologia, vista spesso come la panacea per ogni male? “Spesso si dice che essa ha ‘bruciato’ molti posti di lavoro, anche nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia la robotica e l’intelligenza artificiale si diffonderanno sempre di più, non c’è dubbio. Presto avremo fabbriche completamente robotizzate. Anche le stampanti tridimensionali concorreranno a cambiare volto al manifatturiero. Il tessile non sfuggirà a questa regola. Ci sono stampanti che possono produrre scarpe. Quindi, anche nei paesi in via di sviluppo, si dovrà passare ai servizi. L’India fa testo, perché è già orientata in questo senso. La transizione non sarà priva di dolore, anzi”. Le tecnologie creeranno però anche nuovi servizi, anzi, lo stanno già facendo. un esempio è la piattaforma Airbn, le cui potenzialità sono per molti versi straordinarie.

Per quanto riguarda l’Europa, è necessaria maggiore coesione interna, al fine di consentire una mobilità dei fattori di produzione analoga a quella esistente negli Usa. “E poi credo si debba puntare di più sull’inflazione. Questo ci porta alla proposta di avere un ministro delle finanze unico, che mi sembra una proposta interessante, come sostenuto dai governatori di banche centrali di Italia e Francia ieri qui a Trento. Nel frattempo, la transizione sarà dolorosa, anche se in maniera diversa da un paese all’altro. In Italia c’è un problema di fuga dei cervelli. Non vanno esportate le persone e non vanno esportati i cervelli”.

Si è parlato anche di Brexit. Anche questo un aspetto problematico per il futuro del’Europa. “D’altro canto l’uscita del Regno Unito potrebbe provocare un ripensamento della governance stessa dell’Europa. Questo potrebbe essere un esito positivo”. E la mobilità? I muri che stanno risorgendo in Europa? Gli Stati Uniti hanno un security number nazionale che consente la tracciabilità dei lavoratori. Questo potrebbe rappresentare una soluzione, anche se in Europa non esistono politiche sociali uguali ovunque. “Potrebbe essere un bene – ha detto Spence – garantendo non solo una migliore gestione della mobilità ma anche l’adozione di politiche fiscali più omogenee.

Riguardo ai migranti, credo che gli italiani dovrebbero essere orgogliosi del fatto che la loro Marina salva tante vite umane, la sfida in Europa comunque è condividere l’onere di questa crisi. In generale, beneficeremo dei migranti nella misura in cui li sapremo integrare. Ciò mette in gioco le città. La crescita dei processi di urbanizzazione, in parte, come in America latina, dovuta alla meccanizzazione delle campagne, deve essere governata”.

5 Giugno 2016


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